Questo weekend mi sono trovato in due situazioni in cui il narratore ha dovuto gestire il mettersi di fronte alla morte del personaggio.
Sabato c’è stata una partita ad Exalted e il gruppo, fresco fresco di creazione, ha dovuto gestire un’impresa diplomatica con un Raksha e la situazione è rapidamente degenerata. Le due guardie del corpo di Foglie che Danzano Eteree, domina della bolla di wyld in cui i nostri si sono addentrati, si sono rivelate un’osso particolarmente duro e, in una scena di lotta piuttosto cruenta, una di loro ha strappato via la testa dell’eccelso che stava cercando di immobilizzarla.
OT: il motivo per cui la situazione è degenerata è secondo me interessante e merita un approfondimento sul metagame e la narrazione, probabilmente giovedì.
Domenica, invece, giocando a D&D c’è stato un momento di impasse in cui, per un tempo piuttosto lungo, nessuno dei giocatori è riuscito a capire come soverchiare un enigma la cui soluzione fallimentare avrebbe portato alla pietrificazione del malcapitato che avrebbe commesso l’errore. Il barbaro del gruppo, per provare a smuovere la situazione, tenta quindi di improvvisare un piano: la trappola scatta e prevede la pietrificazione dietro un singolo tiro salvezza e il DM, a cui la situazione stride perché in quel momento fare qualcosa e spingere la scena avanti avrebbe portato un beneficio al tavolo, decide di utilizzare le regole normali per la pietrificazione, distribuendola su due tiri e dando al gruppo possibilità di reagire al pericolo.
Da questi due casi la riflessione che mi viene è:
Perchè i personaggi muoiono?
La risposta potrebbe sembrare scema, ma fondamentalmente è “perché è previsto dal gioco”. Solo che questa risposta ha dei risvolti interessanti.
Nel primo caso la morte è stata più o meno inaspettata e, da un certo punto di vista, necessaria per coerenza narrativa: mostrare che le proprie scelte hanno conseguenze è importante per mantenere l’attenzione e l’interesse dei giocatori nell’attività di gioco. E in questo caso, una delle conseguenze che prevede il gioco è proprio la morte del personaggio. I personaggi nuovi si sono resi conto di essere in un mondo pericoloso ed hanno cominciato a rifletterci.
Nell’altro caso, in un certo senso, si è andati a sopperire a una problematica, l’impasse, che in teoria andrebbe risolta a monte: lasciare tempo ad libitum per la risoluzione di un problema è problematico perché l’azione rallenta e la somma di una soluzione che non viene, del sillogismo errore-morte e di tempo abbondante è tipicamente un ristagno del flusso di gioco. Le soluzioni, in questo caso, sono quindi tre, una per ogni addendo: o si trova un suggerimento per la soluzione, o si riduce la mortalità della situazione, o si introduce una pressione esterna che mette un timer ed eventualmente conduce ad un fallimento o ad un rinvio della missione.
In ognuno di questi casi, l’approccio è di fare in modo che la morte di un personaggio sia significativa per i giocatori, rappresentazione delle conseguenze delle loro scelte e non semplicemente il risultato di un tiro di dado. Nota: dei giocatori, non dei personaggi.
Su questa riflessione si scontrano i due punti di vista: quello di narrazione, che porta a fare in modo che la morte di un personaggio sia incastrata in situazioni molto specifiche, e quello di gioco, che comunque demanda al dado un certo grado di incisività.
E qual è la scelta giusta?
La domanda, ovviamente, è mal posta: dovrebbe essere “Qual è la scelta giusta per il gioco che si sta giocando?”, più adeguatamente. Ogni gioco, di per sé, prevede delle regole che gestiscono la morte ma molti giochi, che prevedono regole d’oro*, regole di oricalco** e mille altre varianti, lasciano al narratore margine per stabilire qual è lo stile che si vuole adottare al tavolo.
* = Regola d’oro: se una regola non ti piace, cambiala.
** = Regola di oricalco: se una regola non ha senso nel flusso della storia, la regola ha torto e la storia ha ragione.
Scegliere di seguire un approccio più aderente alle regole – e quindi se il dado è avverso e va tutto a rotoli fa parte del gioco e lo si accetta, anche se diventa poi difficile strutturare il resto della trama – è un approccio legittimo tanto quanto ignorare deliberatamente il dado in determinate situazioni: dipende da come si vuole giocare al tavolo, basta che ci si metta d’accordo prima e i problemi si sgretolano.
Alcuni giochi, inoltre, lasciano un margine più o meno ampio agli stessi giocatori sul come far morire i loro personaggi: Deathwatch o 7th Sea, per dire due esempi, hanno approcci interessanti che, nell’ottica di regole auree, possono andare a colorare l’esperienza di giochi diversi.
Di solito il problema è un altro.
Il personaggio è morto: e adesso?
Una volta che il personaggio è morto, cosa succede dopo? Il giocatore, tipicamente, non vorrà smettere di giocare, ma cosa giocherà?
Un approccio che non risolve il problema quanto lo ritarda è l’utilizzo di effetti di resurrezione che, in giochi come D&D, esistono e fanno parte del gioco. La morte, però, senza vere conseguenze, smette di essere il problema, quindi i casi sono due: o si inseriscono delle conseguenze alla resurrezione o le conseguenze ricadono sulla trama.
La conseguenza più semplice è che gli effetti di resurrezione abbiano un limite, oltre il quale non possono più funzionare. Quella che ho testato e che apparentemente sembra funzionare benino è che ogni effetto di resurrezione rende permanentemente segnato un tiro salvezza su morte. In questo modo si ha un impatto esterno al combattimento, correlato all’effetto stesso (finire a 0 hp diventa sempre più sinonimo di aver bisogno di diamanti di una certa caratura), dando un senso di urgenza ma lasciando un certo margine, rendendo la morte un contrattempo rimediabile ma fino a un certo punto.

Alternativamente bisogna dare un impatto al fattore economico: le resurrezioni costano, quindi bisogna fare in modo che i soldi siano qualcosa da gestire. Ma questo è un aspetto particolare, che richiederà un altro articolo (come detto parlando di esplorazione, questo sarebbe il pillar trascurato).
Se invece le conseguenze devono ricadere sulla trama, la trama deve prevedere cambiamenti importanti in funzione del fallimento dei personaggi: se un personaggio muore gli altri ci metteranno più tempo ad arrivare dal sommo sacerdote e il principe rapito verrà sacrificato. Questo approccio, tuttavia, disinnesca molte situazioni che potenzialmente potrebbero essere interessanti: di fronte a un ostaggio con un coltello puntato alla gola, niente dovrebbe fermare i personaggi dal pensare «Che lo uccida, tanto il diamante per riportarlo in vita lo trovo». D’altro canto, una Morte con le Porte Girevoli™ offre altri spunti e strategie inattese che possono rivelarsi interessanti – consiglio ai giocatori, narratore incluso, di trovare un accordo su quale approccio si vuole tenere.
Senza il rinvio offerto da effetti del genere, invece, i punti di vista da tenere in considerazione sono sempre i due indicati sopra: quello di narrazione e quello di gioco.
Dal punto di vista della narrazione, tipicamente il giocatore dovrà giocare un nuovo personaggio. Una soluzione che di solito trovo piuttosto agile è di riprogettare un npc ed offrirlo al giocatore come nuovo personaggio: lasciando opportuni spazi di personalizzazione al giocatore può servire per offrire un personaggio che non sia un perfetto estraneo alla storia, abbia già degli agganci, dei legami e delle conoscenze pregresse. Alternativamente bisogna inserire un nuovo personaggio e giocatore intressato e narratore, meglio se proprio tutti i giocatori del tavolo, si dovrebbero accordare e fare brainstorming per gestire la cosa.
Volendo far ripartire un personaggio da zero, invece, per molti giochi va tenuto in considerazione il gap di potere tra un personaggio nuovo ed uno esperto. In molti giochi, da D&D a Vampiri, ripartire con un personaggio base in una campagna già avanzata spesso e volentieri diventa più una complicazione frustrante che non un’occasione per provare qualcosa di insolito.
Per D&D, di solito, utilizzando le milestone, propongo semplicemente un altro personaggio dello stesso livello degli altri con pochi oggetti magici semplici o intrecciati alla trama a mia discrezione. Ce n’è stato bisogno pochissime volte ed ha sempre funzionato. I metodi che uso per creare questi personaggi li ho inseriti nelle regole per 13th moon, gratuite/pay what you want in italiano ed inglese sulla DMSGuild.
Quanto spesso ti capita di vedere personaggi morire al tavolo? E cosa fa il giocatore dopo?